Rubriche
tratto dal n.06 - 2006


Tra storia e santità


Giovanni Di Peio, 
Teresio Olivelli. Tra storia 
e santità,  Effatà Editrice, 
Cantalupa (To) 2006, 
346 pp., euro 15,00

Giovanni Di Peio, Teresio Olivelli. Tra storia e santità, Effatà Editrice, Cantalupa (To) 2006, 346 pp., euro 15,00

La figura di Teresio Olivelli (1916-1945), servo di Dio e avviato alla beatificazione, costituisce – unitamente alla figura di Piergiorgio Frassati – uno dei modelli di riferimento più significativi nel mondo sociale cattolico del dopoguerra. Tra i due c’è un legame associativo (Fuci e San Vincenzo), la comune storia universitaria – l’uno a Torino e l’altro a Pavia –, la condivisa passione politica per una società più libera e giusta. Originale in Olivelli è l’esperienza di guerra e di Resistenza, che ha fatto di lui, medaglia d’oro al valore, «lo spirito più cristiano del nostro secondo Risorgimento» (don Primo Mazzolari) e uno dei campioni di quella “Resistenza cattolica” che varie stagioni di revisionismo storico della Resistenza non hanno saputo cancellare o oscurare.
La vita di Olivelli scritta dal professor Giovanni Di Peio, sulla scorta della recente opera del postulatore don Paolo Rizzi (L’amore che tutto vince. Vita ed eroismo cristiano di Teresio Olivelli, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2004), ci aiuta a ripercorrere con dovizia di particolari la storia di un giovane cattolico tra le due guerre: nei suoi primi anni (“Quella ineguagliabile giovinezza”), a Pavia, in Università e alla Fuci (“La formazione e gli anni di Pavia”: 1934-38), a Torino nella Guf e nel suo primo lavoro a Roma all’Incf (Istituto nazionale di cultura fascista) e poi all’Ufficio studi del Pnf, cioè nel centro della riflessione politica e culturale fascista, fino a decidere di vestire il grigioverde e di partecipare alla Seconda guerra mondiale passando dal fronte italiano (1941-42) al fronte russo (1942-43).
Il ritorno in Italia di Olivelli nel 1943 lo vedrà per pochi mesi rettore del Collegio Ghisleri e, dopo la resa dell’8 settembre e la prigionia, incontrare il mondo cattolico della Resistenza: un incontro a Brescia, con Astolfo Lunari e padre Carlo Manziana, con i quali organizzerà l’esperienza resistente dei cattolici italiani: le cosiddette “Fiamme Verdi”.
Da allora fino all’arresto a Milano in piazza San Babila, il 27 aprile del 1944, Olivelli diventerà la figura centrale dell’organizzazione delle Fiamme Verdi in Lombardia (in particolare a Brescia, Cremona, Mantova, Lecco) con puntate anche in Veneto: «Ribelle per amore al Vangelo», nell’impegno di costruire una città «più libera, più giusta, più solidale, più “cristiana”».
Gli ultimi capitoli del libro di Di Peio sono dedicati a ricostruire tempi e momenti della prigionia di Olivelli (nel carcere di San Vittore a Milano, a Bolzano, nei campi di Flossemburg e Hersbruck) fino alla morte nei primi giorni del gennaio 1945.
Le parole di don Primo Mazzolari, scritte sull’Eco di Bergamo nella recensione di una delle prime biografie di Teresio Olivelli e riportate a conclusione dell’opera di Di Peio, delineano bene l’attualità di Olivelli: «Il nome di santo è quello che più conviene a Teresio Olivelli, e io mi auguro che tutti i ribelli cristiani, i fuorilegge cristiani ne facciano presto domanda a quella Chiesa ch’egli ha amato e servito sine modo». Un auspicio che è ormai realtà.




La riforma agraria in Italia e gli Stati Uniti


Emanuele Bernardi, 
La riforma agraria in Italia 
e gli Stati Uniti, Il Mulino, Bologna 2006, 397 pp., 
euro 28,00

Emanuele Bernardi, La riforma agraria in Italia e gli Stati Uniti, Il Mulino, Bologna 2006, 397 pp., euro 28,00


È un libro, questo di Emanuele Bernardi, La riforma agraria in Italia e gli Stati Uniti, che rivaluta Antonio Segni, allora ministro dell’Agricoltura, nel suo tentativo di attuare la riforma agraria in Italia, in posizione un po’ isolata per la verità, a fronte delle perplessità di De Gasperi, sia a livello nazionali che internazionale (il Dipartimento di Stato degli Usa mostrava poco interesse alla questione agraria italiana, almeno fino all’inizio del 1949).
Attraverso l’analisi del carteggio tra il ministro dell’Agricoltura e De Gasperi nel triennio 1947-1950, sulla base di nuovi documenti “segreti” o “riservatissimi” o “confidenziali” e di materiale d’archivio ancora inedito o sconosciuto alla storiografia (in appendice (p. 363) vengono riportate la lettera di Antonio Segni a De Gasperi, del 24 agosto 1948, e la relazione dell’ambasciata americana a Roma, del 2 settembre 1949, sul progetto di riforma fondiaria presentato da Segni nel Consiglio dei ministri del 2 agosto), Emanuele Bernardi – ricercatore in storia contemporanea – ricostruisce il confronto tra Segni e De Gasperi nell’estate del 1948 sul progetto di riforma agraria. In termini politici Segni era convinto che un’ampia riforma agraria avrebbe rappresentato il sistema più efficace per depotenziare il movimento rurale comunista. Il ministro era un po’ isolato, su una posizione un po’ “gollista”; aveva dalla sua parte l’Azione cattolica, le Acli, la Coldiretti, ma non il Papa, i proprietari terrieri, ovviamente, e De Gasperi stesso il quale rallentò la riforma della terra in Italia, fino al 1950, quando assunse un ruolo guida sul tema, anche contro Scelba. Questione di tempo. Il tempo è stato sempre un fattore fondamentale nella storia del riformismo europeo dopo la Seconda guerra mondiale.
Il pregio di questo libro è quello di cercare e creare un legame, in un unicum organico di trattazione, pur da differenti angolazioni, tra riforma agraria italiana, politica americana verso l’Italia nei primi anni del secondo dopoguerra, e ancora: la guerra fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e i riflessi del Piano Marshall negli affari interni, nella politica italiana, nel Mezzogiorno soprattutto. Una pagina nuova, quella che Bernardi ci offre, attraverso la descrizione del ruolo che l’Italia ebbe nella definizione delle linee attuative della riforma agraria e i rapporti che gruppi di pressione americani strinsero con settori della società italiana: dinamiche interne del movimento contadino, la sua interazione con le classi dirigenti italiane e l’amministrazione americana. «Nel contesto internazionale del secondo dopoguerra […], il concetto centrale della riforma agraria sostenuto dalla Dc e dal governo De Gasperi era che la redistribuzione della terra doveva concretizzarsi in una modificazione strutturale ma graduale e selettiva delle aree dei comprensori di bonifica, sulla base dell’iniziativa dei proprietari terrieri sostenuti dallo Stato. Un modello di riforma localizzato, attentamente pianificato, sostenuto da larga parte dei tecnici italiani, coerente con l’evoluzione dei conflitti politici e con la critica situazione alimentare ed economica del Paese» (p. 66).
La ricostruzione degli accadimenti di quegli anni è minuziosa e documentatissima.
De Gasperi che, come afferma Andreotti, assegnava il primato alla politica estera, era convinto che tanto il legame con gli Stati Uniti quanto l’interdipendenza e, in prospettiva, l’integrazione europea, implicassero necessariamente una parziale concessione di sovranità. Il nodo problematico era il rapporto tra riforma agraria e Piano Marshall (cap. III, p. 115). Per Bernardi «l’amministrazione Truman usò il Piano Marshall per avviare la ricostruzione del Mezzogiorno e dell’agricoltura italiana, dirigere le linee e gli obiettivi di sviluppo del settore nell’ambito del blocco occidentale e contrastare il comunismo, intervenendo nelle modalità della produzione e nella riforma agraria attraverso il controllo esercitato sui finanziamenti ai lavori di bonifica e di irrigazione, l’espansione di colture alternative […], l’invio di fertilizzanti e di macchinari agricoli, l’assistenza tecnica agli agricoltori» (p. 345). I risultati furono positivi, sia sul piano economico-finanziario che su quello sociale: trasformò alcune aree d’Italia.
Anni cruciali per l’Italia, che oggi conosciamo meglio grazie all’ottimo lavoro di Emanuele Bernardi, meritatamente premiato dalla Svimez – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – e dalla Fondazione Alcide De Gasperi.




Mercato e disuguaglianza


Giovanni Bazoli, 
Mercato e disuguaglianza, Morcelliana, Brescia 2006, 107 pp., euro 10,00

Giovanni Bazoli, Mercato e disuguaglianza, Morcelliana, Brescia 2006, 107 pp., euro 10,00

È un approccio un po’ inusuale quello che Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa e della Fondazione Giorgio Cini, applica nei confronti di alcuni temi del nostro tempo: la gestione della globalizzazione e gli squilibri delle democrazie; il rapporto tra democrazia ed economia di mercato; la dimensione evangelica nell’agire economico: tre capitoli, dal contenuto intenso e forte, raccolti in un centinaio di pagine in Mercato e disuguaglianza, che ragionano attorno a tre parole chiave: globalizzazione, mercato, democrazia, tre concetti tenuti insieme da quello di uguaglianza.
Globalizzazione è un termine che ha fatto irruzione con forza nel linguaggio politico e giornalistico, imponendosi come una “grande allusione” che tutto spiega e contiene. Troppo spesso viene considerata un “evento” degli ultimi anni e non un lungo e delicato processo storico, che matura negli ultimi 150 anni ed è, semplicemente, una delle ossature della contemporaneità. Manca la capacità di governare il fenomeno, che non è solo economico, ma anche culturale: è l’anarchia della globalizzazione che deve inquietare, non il fenomeno in sé.
Le pagine di Bazoli ragionano su questa trasformazione, o mutamento, culturale ed economica del nostro tempo, ovviamente da un versante cristiano. «Il dare a Cesare quel che è di Cesare» afferma Francesco Paolo Casavola nella postfazione «non è solo distinzione di ciò che si deve a Dio, ma anche indicazione dell’obbligo per il credente di contribuire alla costruzione della civiltà umana, in quella faticosa e contradditoria storia terrena il cui protagonista… è la libertà dell’uomo». Sotto questo aspetto, laica è la ricerca della verità e della giustizia, per Bazoli, per la persona singola come per il popolo di Dio e per la Chiesa; ricerca laica perché in dialogo e confronto con il mondo.
I rischi crescenti della degradazione ambientale, le distorsioni del mercato del lavoro su scala mondiale, gli effetti di un esercizio puramente egoistico delle libertà economiche persino sugli equilibri demografici dei popoli richiedono il ripristino di una sana e saggia dialettica di autorità e libertà. In conclusione: se la globalizzazione per un verso sembra dischiudere possibilità di sviluppo e libertà che possono trasformarsi in nuove forme di asservimento e povertà per mancanza di regole e governo, la relazione tra mercato e principi della democrazia (libertà e uguaglianza) appare oggi come un incontro mancato e tuttavia necessario.
Non fa sconti la lucida analisi di Bazoli: un contributo fondamentale per capire alcune dimensioni del nostro tempo; un libro di meditazione più che opportuno in questa stagione di parole e di paradossi sociali e politici.
Il libro è stato presentato presso l’Istituto dell’Enciclopedia italiana il 13 giugno scorso.




Un vescovo e la sua Chiesa


Ernesto William Volonté 
(a cura di), Eugenio Corecco. 
Un vescovo e la sua Chiesa,
Cantagalli, Siena 2005, 
492 pp., s.i.p.

Ernesto William Volonté (a cura di), Eugenio Corecco. Un vescovo e la sua Chiesa, Cantagalli, Siena 2005, 492 pp., s.i.p.

Ha fatto bene don Ernesto William Volonté, un sacerdote milanese, ma ormai svizzero – attualmente è rettore del seminario di Lugano, pur continuando l’insegnamento teologico all’Università Cattolica di Milano – a raccogliere in due volumi gli scritti pastorali e i discorsi più significativi pronunciati dal vescovo di Lugano (dal 1986), Eugenio Corecco, morto nel 1995, il Mercoledì delle Ceneri, a soli 64 anni.
Corecco, significativo teologo, acuto e innovativo studioso del diritto canonico, ha avvertito i segni del grande trapasso di un’epoca che la caduta del muro di Berlino andava via via significando. Si è reso conto, cioè, che con l’89 un’epoca secolare, quella della modernità, era giunta a compimento. Il vasto panorama dei temi affrontati negli scritti ora pubblicati mostra il peso dato dal vescovo ai temi della libertà e della felicità, visualizzati da diverse angolazioni. Oggi, nell’epoca che taluni chiamano postmoderna, queste due categorie hanno sostituito quelle di ragione e di giustizia dominanti la scena lungo il cosiddetto secolo breve. Secolo tragico che conclude la modernità.
Gli argomenti trattati sono i più svariati, ma in tutti emerge un appassionato e intelligente amore per la Chiesa e per l’uomo. Partecipe del movimento di Comunione e liberazione, si univa a quelli che camminavano lungo la strada, diventando il compagno di viaggio, un pellegrino anche lui. Corecco era sempre in grado di adeguarsi al ritmo dei passi della vita degli altri, portando in quel ritmo la sostanza della fede… Sono parole del cardinale Macharski di Cracovia, che assieme ai cardinali Angelo Scola, grande amico di Corecco, Péter Erdö e Christoph Schönborn offrono testimonianze per ricordare la figura di Eugenio Corecco. Un vescovo e la sua Chiesa.
Sono due densi volumi. Si va dal discorso di presentazione alla diocesi di Lugano, scritto da un monastero di clausura il giorno prima dell’ordinazione episcopale (29 giugno 1986) alle omelie, lettere pastorali e documenti vari elaborati e presentati durante i nove anni del suo ministero episcopale a Lugano. Documenti carichi di grande umanità e ricchissimi di spunti di riflessione per l’uomo contemporaneo, opportunamente raggruppati in sezioni tematiche di facile accesso: la liturgia; l’annuncio della fede; il ruolo nella Chiesa dei laici e dei presbiteri; i temi dell’ecumenismo; le vocazioni nella Chiesa: i giovani e la famiglia.
Non siamo davanti a un vescovo ordinario. Figura innovativa per la Chiesa svizzera, straordinaria è la sua capacità di affrontare argomenti difficili con un linguaggio concettuale accessibile. Chiude così l’omelia per la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani il 19 gennaio 1992: «Una delle prerogative dell’uomo moderno è quella della verità. Magari in termini esasperati e confondendo spesso la verità con l’arbitrio di qualsiasi espressione, l’uomo moderno non tollererebbe che […] i cristiani si presentassero come annunciatori della verità del Vangelo e con la pretesa […] di proporre l’unità […] Sono convinto che sarebbe un ostacolo in più […]; questa volta di natura estrinseca e intrinseca allo stesso tempo per una nuova evangelizzazione dell’Europa» (pp. 262 e 263).
Di taglio più sociale, o politico se si vuole, alcuni scritti raccolti nel secondo volume, su «Chiesa e società, mass media, cultura»; volume che si chiude con una toccante testimonianza dell’uomo-vescovo sulla malattia, scoperta di solitudine, e sulla sofferenza. «Leggendo lo snodarsi della sua vita» scrive il curatore, dei due volumi, Volonté, «sembra di imbattersi in quei Padri dei primi secoli della Chiesa che, nonostante fossero pastori di piccole Chiese, seppero, per genialità propria e per magnanimità di aggrado culturale e spirituale, navigare nei vasti orizzonti del pensiero teologico; ricchezza che ricadeva come pioggia benefica, modulandosi e adattandosi, nel quotidiano incontro con uomini e donne che nella casa del vescovo venivano a sottoporre problemi intimi, persone che aprivano a lui il cuore pieno di preoccupazioni e pensavano di avere da lui la soluzione decisiva per la loro vissuta quotidianità».




Bruciati dall’amore


Bruciati dall’amore. 
Isabella Tomasi di Lampedusa, 
venerabile, al fratello Giuseppe 
M. Tomasi, santo, 
Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2005, 667 pp., s.i.p.

Bruciati dall’amore. Isabella Tomasi di Lampedusa, venerabile, al fratello Giuseppe M. Tomasi, santo, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2005, 667 pp., s.i.p.

La grande mistica, la venerabile Isabella Do­me­nica Tomasi (suor Maria Crocifissa della Concezione) scrive al fratello, ora santo (1986), Giuseppe Maria Tomasi, 182 lettere che desiderava venissero bruciate dopo la lettura, ma che ora vengono pubblicate dalle Edizioni Lussografica in un grande volume, Bruciati dall’amore.
Siamo nella seconda metà del Seicento (1667-1698). Oltre a testimoniare lo spessore squisitamente spirituale e religioso della suora, l’epistolario ha nel contempo il merito di porre in evidenza i problemi della terra siciliana: la lotta per le regalie, la guerra con i turchi nell’Europa orientale, le sofferenze per la successione dinastica nell’Impero e nel Regno d’Inghilterra, la Barbària, oltre al racconto di alcuni eventi locali legati alla religiosità popolare e ai fatti del convento. La storia del monastero si intreccia con quella della diocesi.
Suor Maria Crocifissa – annota l’abbadessa del monastero del Santissimo Rosario di Palma di Montichiaro nella introduzione al libro – confessa di aver «scritto esperienza e non dottrina», e nelle lettere riversa la sua ricchissima spiritualità che ancora oggi può fare del bene.


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