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Testo della quarta lezione




Vincenzo Milanesi,
Rettore dell’Università di Padova

Sono lieto di salutare gli studenti, i docenti, le autorità e tutte le persone presenti in sala per la conclusione di questa settima tornata dei convegni sull’attualità di sant’Agostino.
È un appuntamento così familiare per l’Università e anche per me personalmente che mi permetterete di esprimere con estrema brevità il mio compiacimento per la formula della lectio (che dimostra di essere sempre apprezzata), per l’organizzazione (che raggruppa associazioni studentesche importanti e qualificate) e per il riscontro di pubblico, oltre che delle autorità e dei mass media.
Riflettere per un tempo così lungo su un singolo autore è un fatto singolare. Abbiamo detto più volte che ci troviamo davanti a un grande del pensiero, oltre che della storia della Chiesa. Ma non è certo il solo che assommi queste due caratteristiche.
Sant’Agostino negli ultimi tempi sembra godere di una particolare fortuna anche sulle testate non specializzate. Di lui molto si è parlato per la mostra milanese “Ambrogio e Agostino” appena conclusa, o perché l’editrice Città Nuova è giunta al termine con la monumentale edizione e traduzione italiana delle sue opere.
Ma l’insistenza con cui anche i quotidiani ritornano sulla sua figura sembra eccedere anche eventi pur così rilevanti. Mi colpiva in particolare, circa un paio di settimane fa, una serie di articoli dedicati al santo di Ippona dal Sole 24Ore. Tra i vari titoli, ce n’era uno che mi pareva richiamare da vicino il modo con cui sant’Agostino è stato letto nelle nostre aule in questi anni: «“Nutre la mente soltanto ciò che la rallegra”: in questo motto la chiave della sua attualità».
In effetti la figura di Agostino, anche per il modo con cui don Tantardini ci ha aiutato a riscoprirla in questi anni, non ci comunica solo l’inevitabile senso di rispetto e di ammirazione che si potrebbe provare davanti a una straordinaria figura di filosofo o anche di teologo. C’è una freschezza e una novità che sembrano appartenergli come un dono del tutto personale e particolare, purché si voglia, come si è fatto in questi anni con i convegni, stare di fronte alle sue pagine.
Io credo che il segreto del fascino di sant’Agostino sia in questa freschezza, che le lezioni di questi anni ci hanno comunicato, e che qui stia il motivo per cui tanti – docenti e studenti di ogni facoltà – le hanno apprezzate. Ed è per questo soprattutto che vi ringrazio e vi auguro di continuare sulla strada intrapresa.
Vi assicuro perciò fin da ora la simpatia e il sostegno miei personali e dell’istituzione universitaria che rappresento, che sarà lieta anche l’anno prossimo di avere ospiti tutti voi, cominciando da don Giacomo, in questa Aula magna, per l’ottavo ciclo delle letture di sant’Agostino.





don Giacomo Tantardini

Ringrazio anch’io tutti voi per la cordialità con cui avete seguito questi incontri, perdonando anche i miei limiti. Un poco mi conforta un pensiero di sant’Agostino: «Melius est reprehendant nos grammatici quam non intelligant populi / È meglio che ci critichino gli intellettuali piuttosto che non ci capiscano le persone semplici»1. Ringrazio in particolare il magnifico rettore anche per le parole che oggi ci ha rivolto e per l’ospitalità così liberale in questa Università.
Quella di oggi vorrebbe essere una lectio brevis, anche perché questo è l’ultimo incontro e il mese di maggio è tempo di esami, tempo pre-vacanze. Vorrei leggere soltanto due brani. Il primo è stato distribuito a tutti, il secondo si trova nel libretto che trovate allegato all’ultimo numero della rivista 30Giorni2. È la trascrizione dell’ultima lezione, la terza di quest’anno.
Il tema di questo incontro, delle letture di oggi potrebbe essere formulato così. L’ultima volta ho accennato al fatto che il soggetto della testimonianza cristiana non siamo noi, ma è Gesù Cristo. La testimonianza è il gesto della Sua presenza, viva, operante. Questa è la testimonianza di Gesù Cristo (cfr. 1Cor 1, 6)3. Se dunque il soggetto della testimonianza è la sua presenza viva, operante, in che senso anche noi, anche i discepoli del Signore, siamo di Lui testimoni, «testimoni della Sua resurrezione» (cfr. At 1, 22)? La risposta a questa domanda è come anticipata dalla frase di sant’Agostino che ho suggerito di porre sotto l’immagine di copertina del libretto edito da 30Giorni: «In parvulis sanctis ecclesia Christi diffunditur»4. La Chiesa di Cristo si diffonde attraverso piccoli santi, attraverso bambini santi. Le due letture di oggi tenteranno di suggerire immagini e contenuto di questa espressione. Bambini santi vuol dire piccoli, persone umili5, sul volto e nei gesti della vita dei quali si riflette la presenza del Signore. La santità cristiana è il riflesso di una presenza. «Noi, come in uno specchio, riflettiamo la presenza del Signore» (cfr. 2Cor 3, 18).


1. Sermo 284, 6

Iniziamo a leggere. Il primo brano è tratto da un’omelia che Agostino tenne a Cartagine. Era stato invitato dal vescovo di quella Chiesa per la festa dei santi martiri Mariano e Giacomo, che si celebrava il 6 maggio. Agostino va a Cartagine, presiede l’Eucaristia, e durante l’Eucaristia tiene questa omelia. Il brano che leggiamo è la conclusione dell’omelia tenuta alla grande comunità di Cartagine. Rispetto alla piccola Ippona, Cartagine era veramente una metropoli.
«Propter nos pati voluit Christus. / Cristo ha voluto patire per noi. / Ait apostolus Petrus: “Pro vobis passus est, relinquens vobis exemplum, ut sequamini vestigia eius”. / Dice l’Apostolo Pietro: “Per voi Cristo ha patito, lasciandovi un esempio, perché possiate seguire i suoi passi”. / Pati te docuit, / Ti ha insegnato a sopportare la sofferenza / et patiendo te docuit [come ti ha insegnato a sopportare la sofferenza?] / e ti ha insegnato questo soffrendo lui stesso la sua passione. / Parum erat verbum, nisi adderetur exemplum. / Sarebbe stata poca cosa la parola, se non fosse stato aggiunto l’esempio. / Et quomodo docuit, fratres? / E in che modo ci ha insegnato, o fratelli? / Pendebat in cruce, / Era appeso alla croce, / Iudaei saeviebant / i Giudei infierivano». Qui il termine giudei indica soltanto coloro che sotto la croce volevano la sua morte, perché giudeo era anche Gesù. Maria sua madre e i primi discepoli erano tutti giudei6. Quindi giudei non indica qui la totalità di un popolo, ma solo singole persone di quel popolo;
«in asperis clavis pendebat, sed lenitatem non amittebat. / era appeso alla croce attraverso duri chiodi, ma non abbandonava la mitezza. / Illi saeviebant, illi circumlatrabant, illi pendenti insultabant; / Essi infierivano, lo circondavano con grida cattive, lo insultavano mentre pendeva dalla croce; / quasi uno summo medico in medio constituto, phrenetici, circumquaque saeviebant. / l’unico sommo medico era in mezzo a pazzi che tutt’intorno infierivano su di lui [summo, che non ha eguali, che non ha nessun paragone; medico, come uno capace di sanare il loro cuore]. / Pendebat ille, et sanabat. / Egli pendeva dalla croce, e risanava [Ma come risanava?] / “Pater” inquit “ignosce illis, quia nesciunt quid faciunt”. / Padre” disse, “perdonali, perché non sanno quello che fanno”». Risanava così, perdonando. La natura umana ferita dal peccato originale può essere risanata non attraverso una lunga ascesi etico-religiosa, ma attraverso un fatto di perdono: «Padre, perdona».
«Petebat, et tamen pendebat»: Agostino parla da grande retore. La conversione di Agostino, com’è proprio della conversione cristiana, ha valorizzato tutte le sue qualità umane, naturali, anche di cultura, di competenza.
«Petebat, et tamen pendebat; / Pregava [domandava] e tuttavia pendeva dalla croce; / non descendebat / non discendeva dalla croce / quia de sanguine suo medicamentum phreneticis faciebat / perché rendeva il suo sangue medicina per coloro che infierivano furiosi. / Denique quia verba petentis Domini, eiusdemque misericordiam exaudientis, quia Patrem petiit, et cum Patre exaudivit; / Infine per il fatto che le parole del Signore che domandava misericordia [«Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»] erano pure le parole di Colui che [come Dio] le ascoltava, perché [come uomo] pregò il Padre e [come Dio] con il Padre esaudì [come uomo chiese perdono e come Dio esaudì questa domanda di perdono], / quia illa verba non potuerunt inaniter fundi / per il fatto che quelle parole non poterono essere proferite invano / post resurrectionem suam sanavit quos pendens insanissimos toleravit / dopo la sua risurrezione guarì coloro che, mentre pendeva dalla croce, aveva sopportato quando furiosi gridavano contro di lui».
E qui inizia il brano per cui ho letto questo discorso di Agostino. Faccio solo un piccolo accenno di attualità. Si è parlato in questi ultimi giorni, anche da parte di autorità civili, come per esempio il presidente del Senato, di verità, di timidezza nell’affermare la verità, di relativismo, dicendo cose che si possono liberamente condividere o meno. Volevo solo accennare che la grazia della fede può offrire una novità di intelligenza anche rispetto al contenuto delle parole che pure il mondo usa, come la parola verità. Nelle frasi di Agostino che adesso leggeremo potrete intuire questa novità di intelligenza rispetto agli schemi del mondo (cfr. Rm 12, 2).
«Ascendit in caelum, misit Spiritum Sanctum; / Ascese al cielo, mandò lo Spirito Santo / nec se illis ostendit post resurrectionem, / e non si mostrò visibilmente dopo la risurrezione a coloro che lo avevano crocifisso, / sed solis fidelibus discipulis suis, / ma [si mostrò visibilmente] soltanto ai suoi discepoli fedeli / ne quasi insultare se occidentibus voluisse videretur / perché non sembrasse che volesse quasi sfidare coloro che l’avevano ucciso. / Plus enim erat amicos docere humilitatem, quam inimicis exprobrare veritatem. / Era infatti più importante insegnare agli amici l’umiltà che sfidare i nemici con la verità». La verità non è un possesso che uno può usare come una sfida. È pura confessio, puro riconoscimento7. Questa frase di sant’Agostino mi sembra avere un’attualità evidente e sorprendente. Era più importante insegnare agli amici l’umiltà, che non sfidare coloro che l’avevano ucciso, i nemici, con la verità.
«Resurrexit: plus fecit quam illi exigebant, non credendo, sed insultando, / È risorto, ha fatto di più di quanto quelli esigevano, non credendo, ma insultando / et dicendo: “Si filius Dei est, descendat de cruce”. / e dicendo: “Se è il Figlio di Dio, discenda dalla croce”. / Et qui de ligno descendere noluit, de sepulcro surrexit. / E colui che non volle discendere dalla croce, è risorto dal sepolcro. / Ascendit in caelum, misit inde Spiritum Sanctum; implevit discipulos, / È asceso al cielo, ha mandato dal cielo [dal Padre] lo Spirito Santo, ha riempito [di grazia] i discepoli; / correxit timentes, fecit fidentes / ha corretto coloro che avevano paura [tutti lo hanno abbandonato per paura. Agostino parlerà di Pietro, della sua paura e del suo tradimento. Ha corretto, cioè ha sollevato coloro che avevano paura. Correggere nel senso di sollevare] e li ha resi credenti in lui [fiduciosi in lui]. «Petri trepidatio in fortitudinem praedicatoris repente conversa est. / E la paura di Pietro in un istante [repente] è stata trasformata nella fortezza del testimone». Questo repente è una delle cose più stupende dell’avvenimento cristiano. Due mesi fa sono stato a vedere gli scavi dell’antico battistero di San Giovanni alle Fonti sotto il duomo di Milano dove Ambrogio nella notte di Pasqua del 387 ha battezzato Agostino. Ai tempi di Ambrogio il duomo di Milano, dedicato a santa Tecla, una martire dell’Asia Minore, si estendeva nell’attuale piazza Duomo, e il battistero si trovava sotto il sagrato dell’attuale duomo. Oggi, dopo gli scavi, su una lapide di marmo sono stati riportati i versi composti da Ambrogio per il battistero in cui Agostino è stato battezzato. La poesia termina con questa immagine: «Nam quid divinius isto / Che cosa c’è di più divino di questo / ut puncto exiguo / che in un piccolo istante / culpa cadat populi? / crolli la colpa di tutto un popolo?»8. Punto exiguo è identico a repente: in un piccolo momento di tempo, in un istante, nel gesto del Battesimo, crolla la colpa di tutto un popolo. Rispetto a tutta l’ascesi religiosa e morale è una cosa sconvolgente. In un piccolo istante. Non il termine di un lungo cammino, ma un piccolo momento di tempo. E Agostino


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