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GIUBILEO DEL 2000
tratto dal n. 05 - 2000

Le tracce della storia e quelle sul cemento


Le foto inedite di una delle gallerie che si estendono verso l’area ora occupata dal parcheggio di Propaganda Fide. Forse faceva parte di un antico cimitero. Ma sarà difficile appurarlo perché i lavori l’hanno tagliata e un fiume di cemento ha invaso gran parte di quel che ne restava. Nessuno se ne è accorto durante i lavori? Le orme ancora ben visibili nella grotta danno da pensare…


di Lorenzo Bianchi


Il giardino dei Gesuiti sulle pendici del Gianicolo; subito dietro di esso è stato costruito il parcheggio di Propaganda Fide. Scolpite nella  parete di tufo dietro  il basso edificio dell’archivio sono ancora presenti numerose edicole funerarie di epoca medioevale; accanto ad esse altrettanto numerose aperture di grotte si inoltrano all’interno della collina

Il giardino dei Gesuiti sulle pendici del Gianicolo; subito dietro di esso è stato costruito il parcheggio di Propaganda Fide. Scolpite nella parete di tufo dietro il basso edificio dell’archivio sono ancora presenti numerose edicole funerarie di epoca medioevale; accanto ad esse altrettanto numerose aperture di grotte si inoltrano all’interno della collina

Era l’anno 846, il terzo del breve pontificato di Sergio II, quello in cui, il 23 di agosto, giunse alla foce del Tevere, su settantatré navi e con cinquecento cavalli, un’orda di circa undicimila Saraceni. Sbarcano con l’intento di saccheggiare Roma, la città sacra del cristianesimo che custodiva le memorie degli apostoli Pietro e Paolo; una città immaginata ancora, nella mente degli invasori, talmente florida da suscitare aspettative di smisurate ricchezze. «Pagani» – dice il Liber Pontificalis, che raccoglie le biografie dei vescovi di Roma – che il Signore, vedendo «che la Chiesa redenta con il suo stesso sangue andava in rovina» per la pratica simoniaca, «mandò come vendicatori» fino a Roma perché «la sua Chiesa non dovesse sopportare una simile vergogna». Il debole e vecchio Papa – dominato dal fratello Benedetto, uomo che i cronisti definiscono «brutus et stolidus» – e i governanti della città, pur ripetutamente avvisati, non avevano sciaguratamente dato ascolto alle preoccupanti segnalazioni che, a più riprese, erano giunte nell’Urbe. Quando, all’improvviso, il pericolo si fece drammaticamente reale, toccò a dei non romani, ai pellegrini venuti dal nord Europa, difendere con il sacrificio della vita le memorie degli apostoli fondatori della stessa Chiesa romana. Furono infatti le militiae di tre scholae di pellegrini, quelle dei Sassoni, dei Frisoni e dei Franchi, che affrontarono gli invasori prima a Porto (vicino a Ostia), dove avvenne un primo massacro, e poi nell’estrema difesa attorno a San Pietro, proprio là dove quasi otto secoli prima, nell’anno 64, era stato versato il sangue dei primi martiri della Chiesa di Roma, negli antichi giardini di Nerone, ora occupati dalle chiese, dai cimiteri e dalle strutture di accoglienza dei pellegrini barbari convertiti alla fede cristiana.
Dopo l’inaudita e sacrilega devastazione dei luoghi delle memorie apostoliche, l’intervento di Lotario, re dei Franchi e imperatore, liberò la città; due anni dopo i Saraceni, nuovamente sbarcati presso Ostia, furono sconfitti e il nuovo papa, Leone IV, che la Chiesa ricorda come santo, per scongiurare il rischio di altre profanazioni, edificò le mura di quella che, da subito chiamata civitas Leoniana, diventerà poi il Borgo.
La tradizione letteraria, i racconti del redattore del Liber Pontificalis (LP CIIII, paragrafi XLIV-XLVII; ed. Duchesne, vol. II, pp. 99-101) e di qualche altro cronista medioevale, non sono l’unica testimonianza di questi avvenimenti: nei luoghi occupati dagli antichi barbari del nord Europa, fattisi cristiani e divenuti pellegrini ad limina Petri, sono a più riprese emerse concretissime testimonianze materiali di quei fatti. Si conserva ancora presso i Musei vaticani, anche se molto frammentaria, l’epigrafe che fu posta alla metà del IX secolo sulla posterula Saxonum, la porta delle mura di Leone IV che si apriva presso il Tevere ed il quartiere dei Sassoni dove ora è la cinquecentesca porta Santo Spirito; in essa si riconoscono parole che parlano di Roma «circondata dal lutto», di «sangue dei martiri», di Pietro e del suo «sepolcro violato». Si era conservato fino a due anni fa anche un breve tratto delle stesse mura del IX secolo, purtroppo distrutto durante i lavori per la viabilità di accesso al parcheggio di Propaganda Fide. Si può invece ancora leggere la ormai famosa epigrafe dei Frisoni nella chiesa dei Santi Michele e Magno, composta, sulla base di documenti dell’XI e, ancor prima, del IX secolo, verso il 1300 in occasione del primo Giubileo, quando pressanti interessi commerciali minacciavano di esproprio i terreni della schola: vi sono raccontate le gesta eroiche dei «martiri» difensori di Pietro lì accanto sepolti, e vengono minacciate «povertà, miseria ed abbandono» al diavolo nell’inferno, la «cancellazione dal libro della vita celeste» e «l’espulsione dal regno di Cristo» per chi profanerà le loro tombe. Esistono ancora, infine, anche se piuttosto mal conservate e quasi totalmente illeggibili, numerose edicole funerarie scolpite sul tufo dell’estremità del Gianicolo, nell’area dell’antica schola dei Frisoni e dunque riferibili, con ogni probabilità, a sepolture nel loro cimitero.
Resti 
di un affresco, di epoca tuttora non accertata, all’interno 
di una grotta invasa 
dal cemento 
del parcheggio

Resti di un affresco, di epoca tuttora non accertata, all’interno di una grotta invasa dal cemento del parcheggio

Queste edicole furono scoperte nel 1993 quando, durante la costruzione dell’archivio della Curia generalizia dei Gesuiti, si abbatté un piccolo fabbricato forse settecentesco. I lavori, che asportarono una parte della collina gianicolense, misero in luce anche una serie di aperture di grotte (alcune in realtà già viste nel 1927, quando venne costruito il corpo principale dell’edificio della Curia), a vari livelli e con orientamento verso sud, cioè verso il centro della collina di Propaganda Fide. La immediata vicinanza delle edicole e anche la tradizione – riportata nell’epigrafe del 1300, in cui si dice che i martiri Frisoni che si sacrificarono contro i Saraceni furono sepolti «iuxta Neronis palatium», cioè proprio qui, sulla collina di Propaganda Fide, caratterizzata fin dalla tarda antichità dal toponimo “palazzo di Nerone” (derivantegli evidentemente dal ricordo dei giardini neroniani) – fanno ragionevolmente supporre che le grotte siano in realtà gallerie cimiteriali, o che almeno lo siano state per un certo periodo, quello della maggior fioritura della schola dei Frisoni, tra il IX e il XII secolo. Durante i lavori del 1993 le grotte (sicuramente non naturali, ma scavate da mano d’uomo) non furono esplorate a fondo (si sa solo che alcune scendevano a livelli più bassi della loro entrata, altre proseguivano invece a livello costante, altre ancora sembravano ostruite da crolli), né si conosce se vi furono trovati reperti archeologici (nonostante alcune voci di rinvenimenti, purtroppo non verificate e chissà se ormai verificabili). Le entrate furono comunque chiuse; le epigrafi sulla parete esterna di tufo furono dimenticate e nessuno ha avuto notizia della loro esistenza fino alla casuale riscoperta nel 1998 e alla pubblicazione, proprio su queste pagine all’inizio del 1999, di alcune loro immagini fotografiche.
Il caso ha voluto che, proprio mentre le edicole funerarie venivano riscoperte, il luogo nel quale si inoltravano le grotte probabilmente ad esse correlate, cioè la collina di Santo Spirito e più precisamente l’area del giardino di Propaganda Fide, venisse totalmente distrutto dallo sbancamento realizzato per la costruzione del noto parcheggio del Gianicolo, con l’asportazione di circa 200.000 metri cubi di terra. Chi ha disposto e diretto i lavori del parcheggio ha sempre negato il rinvenimento di reperti archeologici in questo lembo del Gianicolo. Sordità e indifferenza totali sono state invece mostrate di fronte a chi chiedeva come fosse possibile decidere di cancellare, anche in caso di assenza di rinvenimenti materiali, i luoghi fisici dove avvenne, con ogni probabilità, il martirio dei primi cristiani di Roma, luoghi cari alla memoria cristiana e perciò patrimonio della Chiesa tutta. E non una parola risulta essere stata detta, dai responsabili dei lavori del parcheggio, a proposito dell’eventualità più volte paventata che gli sterri potessero aver intercettato, e quindi tagliato e distrutto, le gallerie provenienti dall’area dei Gesuiti.
Ora, a lavori finiti, è stata possibile una breve esplorazione in una di queste grotte. Si entra, e sono evidenti i segni, nella parte più vicina all’accesso, della sua utilizzazione in epoca rinascimentale o meglio ancora seicentesca, quando la collina faceva parte della villa dei Barberini; e forse a quest’epoca (ma lo potranno dire solo indagini accurate) risale un affresco molto danneggiato e quasi illeggibile, anch’esso nel tratto iniziale. Poi il percorso si inoltra nel monte: ai lati, scavate nel tufo, compaiono delle nicchie, tra loro simmetriche; ma compare anche quello che mostrano le fotografie: un’enorme massa di cemento, che si protende in una lingua lunga circa trenta metri e cresce verso l’interno del monte fino a saturare la grotta, alta più di due metri.
Dove arrivava la grotta? E che cosa conteneva? E le altre gallerie hanno subito la stessa sorte? Può darsi che non arrivassero fino agli sterri del parcheggio, che deviassero, che andassero in profondità non toccate dai lavori. Può darsi, non lo sappiamo. Sarebbe opportuna una indagine sistematica; perché, certo, sarà difficile ormai poter credere a quanto potrebbe dire chi ha svolto i lavori a Propaganda Fide. Vediamo ora infatti con tutta evidenza che la costruzione del muro perimetrale nord del parcheggio ha tagliato la grotta, in cui hanno poi avuto sfogo tonnellate di cemento. Qualcuno al momento se ne era certamente accorto, come dimostrano le impronte delle scarpe stampate sul cemento ancora fresco. Ma, fino ad oggi, mai da nessuno è stata profferita parola sull’argomento.


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