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DOPO IL VIAGGIO IN TERRA SANTA
tratto dal n. 05 - 2000

Resta il mistero


Non si può riconoscere il rapporto unico tra ebrei e cristiani se si pretende di razionalizzare l’agire misterioso di Dio nella storia. Incontro con il cardinale Edward Idris Cassidy


Intervista con il cardinale Edward Idris Cassidy di Giovanni Cubeddu


Particolare del Portale della Vergine del Battistero di Parma, 
opera di Benedetto Antelami (XIII secolo). L’arco della lunetta è decorato 
con figure di profeti che sorreggono dischi dorati con immagini di apostoli. 
Qui sopra, i profeti Isaia e Geremia e gli apostoli Pietro e Paolo

Particolare del Portale della Vergine del Battistero di Parma, opera di Benedetto Antelami (XIII secolo). L’arco della lunetta è decorato con figure di profeti che sorreggono dischi dorati con immagini di apostoli. Qui sopra, i profeti Isaia e Geremia e gli apostoli Pietro e Paolo

Forse solo in termini di poesia, mistero e commozione si può immaginare un rapporto tra ebrei e cristiani. Perché se la posta in gioco è un successo politico di immagine o di guida religiosa del mondo, allora il conflitto apparirà immediatamente l’unico scenario possibile.
Abbiamo incontrato il cardinale Edward Idris Cassidy, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. A lui spettano oneri e onori nel confronto col mondo ebraico. Un «lavoro», come il cardinale lo definisce, vissuto con una buona dose di sapiente moderazione.

Dopo la visita in Israele a Yad Vashem (il museo dell’Olocausto) e al Muro del Pianto si è detto che «tutto ciò che si poteva fare nel dialogo con gli ebrei è stato compiuto, al massimo grado» e che «il Papa dei cattolici “si fa ebreo”». Davvero si è chiusa così un’epoca nei rapporti con l’ebraismo?
EDWARD IDRIS CASSIDY: Penso di sì, perché siamo arrivati a un momento nuovo nel nostro dialogo con gli ebrei. C’è stata una lunga preparazione, a partire dal Concilio Vaticano II. Un dialogo non è mai mancato – e il nostro ufficio è stato sempre al lavoro – per guardare al passato, vedere ciò che era successo tra ebrei e cristiani e cercare di uscire da una mentalità antica duemila anni, dalle polemiche intorno all’Olocausto come anche da tutto l’insegnamento antigiudaico, vero o preteso, della Chiesa. Ma seguendo l’impostazione di guardare alle spalle non abbiamo mai potuto pensare al presente e al futuro nei nostri rapporti, e davvero solo negli anni più recenti, almeno con alcuni degli ebrei maggiormente amici, abbiamo cominciato a pensare se mai potessimo, nel mondo di oggi, cooperare. «Abbiamo molto in comune» ha detto il Santo Padre nel discorso ai due rabbini capi di Israele, «insieme possiamo fare molto per la pace, per la giustizia e per un mondo più fraterno e umano».
Siamo arrivati a questo momento nuovo, e vi sono dei piccoli indizi. Nel mese di maggio abbiamo tenuto a Londra una conferenza sul tema del dialogo, dialogo non solo teologico ma inteso, piuttosto, come un nuovo tipo di collaborazione basata sulla fede che abbiamo in comune, sui comandamenti, su che cosa possiamo fare noi nella società di oggi. Questo era già in programma, ma non erano tutti d’accordo: alcuni volevano ancora rimanere a parlare sempre e solo di Olocausto e delle responsabilità della Chiesa in esso. E poi, già nei primi giorni dopo il mio ritorno da Israele, ho notato un cambiamento: mi ha telefonato un amico ebreo dagli Stati Uniti, uno di quelli dell’opinione che «dobbiamo ancora chiarire il passato», per dirmi come era stato contento di quello che era successo durante la visita: del discorso del Papa a Yad Vashem, di quel gesto incredibile al Muro del Pianto, e mi confessava che aveva avuto le lacrime agli occhi.
Tante volte da parte ebraica sono state dette parole di fuoco, per esempio contro Pio IX e Pio XII. La conferenza di Londra è stata un gesto simbolico per dire: «Questo è il primo atto di un’epoca diversa. Ora anche nel mondo ebraico non siamo più legittimati a continuare a recriminare su Pio XII, sull’antigiudaismo cristiano, ecc.». È così?
CASSIDY: Sì. Ma ciò non vuol dire che non ci saranno degli ebrei che avranno nella loro agenda sempre gli stessi temi.
Finora io ho pensato che esistessero tre tipi di amici, o comunque partner ebrei nel nostro dialogo: chi da tempo ha capito e apprezzato ciò che il Santo Padre e la Chiesa hanno fatto (nessuno nel mondo cristiano ha fatto quanto il Santo Padre in questi vent’anni; e in certo modo anche la Chiesa, con il documento sulla Shoah del 16 marzo ’98 Noi ricordiamo, un documento che non eravamo obbligati a scrivere). Il secondo gruppo è di coloro che, forse la maggioranza, avevano apprezzato, però non erano “soddisfatti”, e ci dicevano: «Sì, avete detto questo ma non è ancora abbastanza»; too little, too late, “troppo poco e troppo tardi” è stato il loro motto e il loro commento. E anche dopo il documento sulla Shoah insistevano: «Va bene aver parlato dell’Olocausto, ma non avete parlato del silenzio di Pio XII…». Infine c’è il terzo gruppo, per cui la Chiesa cattolica resta un po’ un nemico del popolo ebraico, e ci attaccano tutt’oggi. Di questi ultimi “estremisti” non so come sarà l’atteggiamento futuro, perché hanno una diagnosi diversa dalla nostra.
Il cardinale Edward Idris Cassidy

Il cardinale Edward Idris Cassidy

È nel secondo gruppo che, spero, vi sarà il grande cambiamento. A Gerusalemme per la venuta del Santo Padre sono accorsi molti ebrei, e parlandoci ho notato il loro atteggiamento favorevole: credo che ora nel dialogo con i cattolici sarà coinvolta la maggioranza degli ebrei, non più solo alcuni. Soprattutto la maggioranza degli ebrei negli Usa apprezza da tempo il nostro dialogo, anche se però non sempre lo fanno i loro leader.
E poi, Israele stessa è cambiata. È sempre stato faticoso avere un dialogo sul posto: abbiamo tentato due volte, ad esempio, di tenere degli incontri a mo’ di simposio, e non è stato facile neanche per gli ebrei benintenzionati in questo campo. È la medesima situazione che viviamo al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: in ogni Paese dove c’è una grande maggioranza di popolo che professa una fede e una piccola minoranza che ne professa un’altra, il dialogo è sempre più difficile, perché non ci si conosce, non si hanno contatti. Non è come negli Stati Uniti, dove cattolici ed ebrei sono due comunità già di per sé sociologicamente importanti, che si incontrano e lavorano insieme nella vita quotidiana. Ma ora in Israele, ripeto, la visita del Santo Padre ha cambiato l’opinione pubblica verso la Chiesa cattolica.
Nel suo Paese natale, l’Australia, non c’è, per dir così, il problema del dialogo con gli ebrei…
CASSIDY: Racconto un piccolo episodio. Nel luglio scorso, tenni a Sidney una conferenza, invitato a parlare da un gruppo di avvocati ebrei e da cattolici che fanno parte della Società di san Tommaso Moro, ente molto importante nella vita professionale in Australia. C’erano 700 persone ad ascoltare, ed è venuto anche il capo dello Stato, a significare che quella riunione era qualcosa di nuovo per l’Australia. Ecco, riprendo il filo: da noi in Australia non esiste il problema del rapporto con gli ebrei, anche perché non abbiamo avuto un passato doloroso: c’erano pochissimi ebrei fino al 1936, iniziarono ad arrivare dall’Europa come immigrati, ed oggi sono diventati un gruppo influente nel campo professionale, in particolare sanitario. Ma non si è mai avvertito il minimo antisemitismo, anzi. Di molti medici ebrei conosco bene il lavoro che svolgono negli ospedali cattolici: è proprio nella Chiesa che non esiste l’antisemitismo che si trova altrove. Però quel primo incontro pubblico ha avuto una eco, fino alla pubblicazione di video e alla raccolta in un piccolo libro degli interventi della serata. Perché è stato come scoprire un tema nuovo e interessante, anche se nessuno ha il problema del rapporto con gli ebrei, e pochi, prima di allora, conoscevano quanto era successo nel dialogo giudaico-cristiano in questi ultimi anni. Io penso che così accadrà anche là dove non esiste il problema: piano piano ne arriverà la conoscenza, e contemporaneamente, spero – in questa nuova fase –, l’opportunità di fare insieme qualche cosa di bene per la società in cui viviamo, qualcosa di bene per l’uomo comune. È una cosa molto pratica, questo dialogo.
In questi ultimi anni oltre all’Accordo tra Santa Sede e Stato di Israele ci sono stati gesti altamente simbolici da parte dei cattolici nei confronti degli ebrei. Di tanto in tanto qualcuno accenna che da parte ebraica ci si aspetterebbe qualcosa di più…
CASSIDY: Certo non è facile rispondere. L’opinione degli ebrei è che la bilancia pesi di più dalla loro parte, e che in questi anni sempre noi cattolici dovevamo fare molto per riequilibrarla. Nei primi anni di ripresa del dialogo, il fatto che la Santa Sede non avesse rapporti diplomatici con Israele era di fatto un grande ostacolo. Perché ogni volta che io esponevo le nostre intenzioni o le direttive del lavoro, subito arrivava la domanda: «Perché la Santa Sede non ha rapporti diplomatici con Israele?». E quando io replicavo che era una questione incongrua e, oltretutto, una questione della Segreteria di Stato, ossia di un altro dicastero vaticano, mi dicevano: «No! La terra di Israele è parte della nostra religione, non è una questione di diplomazia ma di riconoscimento di Israele come terra del popolo ebraico!». Perciò aver instaurato i rapporti diplomatici ha facilitato enormemente il mio lavoro. Forse non vi sono stati sufficienti miglioramenti in Israele per la vita quotidiana delle nostre Chiese e per il nostro popolo: una cosa che mi è ancora difficile da giudicare.
L’Accordo tra Santa Sede e Olp ha suscitato ancora una volta dibattiti su Gerusalemme “illegalmente occupata” da parte di Israele. Talvolta da parte cattolica, parlando dello status giuridico di Gerusalemme, si citano i Salmi, quasi per dire che Gerusalemme è “nostra”.
CASSIDY: No, noi non diciamo che è la nostra città, naturalmente. Diciamo piuttosto questo: se si vuole veramente la pace in Gerusalemme ci dovrà pur essere là un posto per gli ebrei, i palestinesi e i cristiani assieme. Questo per me è essenziale. L’“unicità” della Città santa, che ha un significato tanto importante per queste tre religioni, non può permettere che coloro che la abitano non abbiano garantiti il bene di una vita sicura e tutti i loro diritti verso i Luoghi sacri. Se no, di che pace parliamo, benché tutti poi affermino di volerla?
Il profeta Daniele e l’apostolo Giacomo

Il profeta Daniele e l’apostolo Giacomo

Poi c’è la politica: ossia come arrivare a questa pace, che è poi anche un valore nel dialogo religioso? Anche monsignor Tauran vi ha incentrato molti discorsi. Però, è vero che all’appuntamento interreligioso tenuto al Notre Dame di Gerusalemme durante la visita del Santo Padre abbiamo avvertito una tensione molto forte. In questo incontro c’erano il Santo Padre, il gran rabbino Lau, e il vicecapo delle Corti islamiche della West Bank, lo sceicco Taysir Tamimi, che ha sostituito all’ultimo momento il muftì di Gerusalemme che non ha voluto partecipare. E questo giudice islamico ci ha rivolto un intervento tutto politico, per nulla teso alla pace: «Come potremmo riconciliarci quando gli ebrei ancora ci trattano così?», ha detto chiaramente. È stato un esempio fulminante della realtà, della dimensione politica che ora, realisticamente guardando, prevale. Come superare questo? Ci vogliono certamente uomini saggi, pazienza e tempo. Per quanto mi riguarda, Gerusalemme è una questione molto pratica, in cui, certo, vi è anche spazio per la mistica. E la parte pratica è: come arrivare alla soluzione? Perché non ci sono precedenti storici per un problema politico così speciale come la Città santa.
Ratzinger, riprendendo alla lettera espressioni di Agostino e di Tommaso d’Aquino, ha scritto che per noi cristiani la soluzione a tutto il problema dell’Antico Testamento è semplicemente la persona di Gesù Cristo.
CASSIDY: Alcuni anni fa il cardinale Ratzinger ha tenuto un discorso molto importante a Gerusalemme su questo problema. Il Papa afferma che l’Antica Alleanza è ancora valida, non è stata annullata. L’ha detto varie volte, e questo fa parte oggi del nostro modo di concepire i rapporti tra la Chiesa e il popolo ebreo. Ma quali sono allora i rapporti tra questa Antica Alleanza e quella Nuova, visto che per tanti secoli noi abbiamo potuto vedere nelle raffigurazioni sacre delle cattedrali le due Alleanze: quella Antica giacere morta e la Nuova piena di vita cristiana… Se la Nuova ha preso il posto dell’Antica, si possono conciliare queste due Alleanze? Se sì, come?
E sempre un’altra domanda mi viene di seguito: noi diciamo che la fede è stata una rivelazione giunta al popolo ebraico, così come viene donata a noi, per grazia. Non è un possesso: è perché questa luce la possiamo ridonare al mondo, se il Signore vuole. Era il destino del popolo ebraico sostenere la fatica di elevare la fiaccola del Dio unico. Perché, dice bene la Sacra Scrittura, il popolo ebreo è “luce nel mondo”, luce della vera fede, dell’unico Dio, del Dio della misericordia, di tutto quanto è nell’Antico Testamento ebraico. Allora, oggi gli ebrei hanno ancora questo dovere di portare la luce di Dio al mondo o di conservarla soltanto per il loro popolo? Me lo chiedo spesso, penso a cosa avrei fatto se fossi stato un ebreo dal cuore sincero. E non so come rispondere. Quale è la loro missione nel mondo di oggi, secondo la loro Scrittura? Di queste cose mi piacerebbe dialogare sinceramente con gli ebrei.
L’elezione del popolo ebraico fa parte del mistero dell’agire di Dio nella storia.
CASSIDY: Un rabbino, che nel novembre dell’anno scorso fu a New York insieme con me in una conferenza, disse pubblicamente che il popolo ebraico dovrebbe ringraziare i cristiani, perché in questi secoli i cristiani hanno compiuto quanto era nel destino del popolo ebraico: portare a tutto il mondo la conoscenza del Dio unico e la sua Rivelazione. Questa era la missione del popolo ebraico, ma non l’hanno potuta adempiere, per la loro storica tragedia. Ovvio, questo rabbino non poteva parlare di Gesù, bensì della conoscenza di Dio, delle Sacre Scritture – perché dopotutto cristiani ed ebrei usiamo entrambi anche la Bibbia quando ogni giorno preghiamo nella liturgia… Siamo spiritualmente semiti, disse Pio XI. Ma è anche vero che in Africa, in Asia, in tutto il mondo, chi ha portato e testimoniato l’Antica e la Nuova Alleanza sono stati i cristiani. Però il mistero, nel rapporto tra le due Alleanze, resta.


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