Home > Archivio > 06 - 2006 > Due fratelli, due Irlande
CINEMA
tratto dal n. 06 - 2006

Due fratelli, due Irlande


Intervista con Ken Loach, maestro riconosciuto del cinema d’impegno civile, che ha trionfato al Festival di Cannes con il film The wind that shakes the barley, sui movimenti indipendentisti irlandesi di inizio Novecento


Intervista con Ken Loach di Antonio Termenini


Sopra, una scena del film 
The wind that shakes the barley

Sopra, una scena del film The wind that shakes the barley

In un Festival in cui i favoriti d’obbligo, alla vigilia, e durante lo svolgimento, erano l’Almodóvar del corale Volver e l’Inarritu del labirintico e intenso Babel (premio per la miglior regia), a trionfare è stato “il vecchio” Ken Loach, settant’anni, maestro riconosciuto del cinema d’impegno civile, militante, ideologico e che non teme di schierarsi, alla sua settima presenza in concorso a Cannes con The wind that shakes the barley. Il film è ambientato in Irlanda, nel 1920. Al termine della Prima guerra mondiale, gli inglesi controllano ancora il Paese, ma cominciano a costituirsi, soprattutto a partire dalle campagne, i primi movimenti indipendentisti, formati da contadini e lavoratori generici. La guerriglia, all’inizio poco organizzata, si scontra con i “Black and Tan”, squadre organizzate dal governo inglese per bloccare i moti indipendentisti. Lo sguardo di Loach si sofferma sulla vicenda di Teddy e di suo fratello Damien, che abbandona una promettente carriera da medico per sposare la causa irlandese e unirsi alla battaglia.
A Cannes abbiamo parlato con Ken Loach del film, coprodotto dall’italiana Bim.

Perché un inglese ha scelto di raccontare una pagina così importante della storia irlandese?
Ken Loach: Credo che quel periodo sia stato centrale anche per la storia inglese. Le nostre dominazioni coloniali erano ormai al tramonto e l’Inghilterra cominciava a interrogarsi sul proprio ruolo, come entità sovranazionale, alla fine della Prima guerra mondiale. Gli inglesi non si erano mai rapportati seriamente rispetto alla questione irlandese. Ritenevano che quello fosse territorio loro per diritto divino. Dopo molti film di ambientazione contemporanea, volevo, inoltre, gettare uno sguardo sul passato per vedere cosa ne è rimasto nel nostro presente e, grazie a Paul Laverty [sceneggiatore di fiducia di Loach, ndr], ci sono riuscito.
E cosa ha trovato?
Loach: Ad esempio che sentimenti come l’amicizia, la solidarietà umana che travalica l’appartenenza a schieramenti nazionali, politici e ideologici, sono universali, c’erano allora come adesso. In The wind that shakes the barley ho voluto mettere in primo piano l’aspetto privato, umano, non come sfondo rispetto al succedersi degli eventi. Teddy e Damien hanno caratteri profondamente diversi, quasi antitetici, hanno una visione differente della vita e della possibile soluzione del conflitto con gli inglesi, ma sono entrambi leali, integerrimi; agiscono per il bene dell’Irlanda, per la sua autoaffermazione.
Film come Michael Collins di Neil Jordan (vincitore del Leone d’oro al Festival di Venezia) sono stati per lei un modello o non li ha nemmeno considerati?
Loach: Trovo che il film di Neil Jordan sia un ottimo esempio di sensibilità europea applicata alle esigenze di una produzione hollywoodiana. Io volevo piuttosto sottolineare come valori universali quali l’amicizia, i legami di sangue, il sentire comune, possano abbattere le contrapposizioni di campo, e come il movimento di indipendenza irlandese – con un’origine popolare, estremamente radicata nel territorio, senza una forte elaborazione teorica, come accadeva, più o meno negli stessi anni, in altre zone d’Europa, in Russia per esempio, che insorgevano contro l’opprimente status quo – fosse legato dal credo religioso che invece che dividere, come purtroppo avviene troppo di frequente oggi, allora univa, era forza coagulante per il popolo. Il punto di vista mio e di Paul Laverty sostiene che la firma del Trattato del 1921, che ha messo fine al conflitto e che ha diviso il Paese in due entità, ha spaccato il movimento, in modo brusco, tra chi era favorevole al Trattato – e, quindi, a una soluzione di compromesso che ledeva lo spirito originario dei moti – e chi, al contrario, vedeva nella costituzione di una repubblica unitaria l’unico approdo coerente della lotta d’indipendenza. La visione di Michael Collins era improntata solo al compromesso, molto lontana dallo spirito che diede avvio, qualche anno prima, ai moti spontanei che avevano unito contadini, semplici operai, intellettuali e manovali.
In The wind that shakes the barley, nello scontro fra i due fratelli, ho voluto restituire questa frattura, il crearsi di due fronti interni che hanno dato vita a una guerra civile, a una guerra nella guerra tutta interna al fronte di liberazione.
Ken Loach con la Palma d’Oro che ha vinto al Festival di Cannes nel maggio 2006

Ken Loach con la Palma d’Oro che ha vinto al Festival di Cannes nel maggio 2006

I tabloid inglesi non sembrano averle perdonato il modo in cui lei ritrae le azioni repressive dei “Black and Tan”, le truppe speciali inviate dal governo inglese per reprimere i moti indipendentisti.
Loach: Credo che l’opinione pubblica inglese e gran parte dei giornalisti male accettino che qualcuno metta in luce in modo critico certe atrocità in cruente azioni di guerra. Lo stesso è accaduto e accade per le torture nei confronti dei prigionieri iracheni nelle carceri. Eppure molte forzature, infrazioni al codice militare, sono state documentate nel lungo lavoro di preparazione del film. Mi premeva sottolineare come la repressione inglese mirasse a soffocare con l’uso della forza un movimento che era sorto democraticamente, forse anche con l’intento di evitare, almeno nella fase iniziale, qualsiasi tipo di negoziato.
Come giudica l’attuale politica del governo inglese nei confronti dell’Irlanda?
Loach: Ambigua, come in molti altri settori di politica estera. Tony Blair ritiene che l’attuale assetto sia “conveniente” per l’Inghilterra, perché economicamente sono aumentati, percentualmente, gli scambi commerciali tra i due Paesi e perché gli attentati non sono più così numerosi come in passato.
Si tratta, però, di un’analisi superficiale, perché, in realtà, si sono moltiplicati gli atti di insofferenza, di disobbedienza civile nei confronti di quella che viene avvertita, ancora, come un’occupazione; ma si sa, a livello mediatico fanno notizia solo gli attentati, le stragi e non l’umore generale, il diffuso malcontento. Inoltre, continuano gli aiuti economici inglesi verso quei settori tradizionalmente vicini all’Inghilterra.
Ritiene che con i recenti accordi di pace la “questione irlandese” possa ritenersi conclusa?
Loach: In questo ultimo decennio sono stati fatti decisivi passi in avanti: il Sinn Féin, braccio armato dell’Ira, ha annunciato il cessate il fuoco, i vertici politici dell’Ira hanno tentato più volte il dialogo e gli episodi terroristici si sono molto diradati, fin quasi ad annullarsi. È rimasta intatta, però, la sensazione da parte degli irlandesi di un’occupazione, forse non più armata e opprimente come un tempo, ma di tipo ideologico, tesa ad annullare tutte le specificità della cultura e dello spirito irlandesi.








Español English Français Deutsch Português