RITRATTI
tratto dal n. 06 - 2006

Pro papa Pio


Margherita Marchione, combattiva suora americana, docente emerita di Lingua e letteratura italiana, è impegnata con i suoi studi storici a difendere il comportamento della Chiesa cattolica e di Pio XII durante la Seconda guerra mondiale


di Serena Andreotti


Suor Margherita Marchione

Suor Margherita Marchione

Margherita Marchione è una combattiva suora americana di origini italiane, docente emerita di Lingua e letteratura italiana alla Fairleigh Dickinson University di Madison. Nel corso della sua lunga carriera, ha pubblicato oltre cinquanta libri, dedicandosi con passione allo studio del poeta Clemente Rebora e del patriota italoamericano Filippo Mazzei, oltre a essere prima allieva e poi collaboratrice e confidente di Giuseppe Prezzolini. Dalla metà degli anni Novanta il suo campo di interesse prevalente è diventato la difesa del comportamento della Chiesa cattolica in generale, e di Pio XII in particolare, durante la Seconda guerra mondiale.
Suor Margherita ha raccolto una sfida che sentiva impellente e si è dedicata a confutare i detrattori di Pio XII, ribattendo con determinazione ed entusiasmo alle accuse rivolte al Papa che, se non addirittura connivente con i nazisti nella persecuzione degli ebrei, quanto meno non avrebbe levato con sufficiente energia la sua protesta per fermarla, per codardia o per latente antisemitismo. Sul tema suor Margherita ha scritto saggi e libri, raccogliendo una mole ingente di documentazione, che comprende note ufficiali, lettere, testimonianze, dichiarazioni e articoli giornalistici. In Italia sono usciti Pio XII e gli ebrei (Pan Logos, Roma 1999), Pio XII architetto di pace (Editoriale Pantheon, Roma 2000) e Il silenzio di Pio XII (con prefazione di Antonio Spinosa, Sperling & Kupfer, Milano 2002). Per l’autunno è atteso un altro libro: Pio XII e i prigionieri di guerra, una raccolta di lettere inviate a Pio XII da persone alla ricerca dei loro cari dispersi.
Sopra, l’ufficio informazioni del Vaticano per la ricerca dei prigionieri di guerra; sotto, Pio XII riceve in udienza i delegati 
degli ebrei, provenienti dai campi di sterminio in Germania

Sopra, l’ufficio informazioni del Vaticano per la ricerca dei prigionieri di guerra; sotto, Pio XII riceve in udienza i delegati degli ebrei, provenienti dai campi di sterminio in Germania

La tesi di suor Margherita è già compiutamente illustrata nel primo dei libri citati, Pio XII e gli ebrei (in America pubblicato con il titolo Yours is a precious witness. Memoirs of Jews and Catholics in wartime Italy, Paulist Press, New York 1997): il “silenzio” del Papa fu una scelta obbligata dalla necessità di evitare rappresaglie contro i cattolici, che non avrebbero in nessun modo alleviato le sofferenze degli ebrei, ma avrebbero invece sicuramente messo a repentaglio l’incessante attività di soccorso svolta dalla Santa Sede a favore dei perseguitati. Il Papa non poteva parlare («parlare sarebbe peggiorare la cose», confidò Pio XII al padre Dezza nel 1943), ma scelse la strada dell’azione concreta, cercando di salvare il maggior numero possibile di persone. Da qui l’ordine dato ai conventi e agli istituti maschili e femminili di accogliere chi aveva bisogno di nascondersi, senza distinzione di religione o di idee politiche. In questo modo l’85 per cento degli ebrei italiani si salvò dalla deportazione e dalla morte.
Fra i conventi che si attivarono su richiesta vaticana (oltre 150 nella sola Roma, stando alla significativa tabella ripresa da un testo di Renzo De Felice e pubblicata in coda al libro) vi furono quelli della congregazione delle Maestre Pie Filippini, alle quali suor Margherita appartiene. E sono state le interviste ad alcune consorelle più anziane, che vissero quella drammatica esperienza alloggiando 114 persone nelle loro tre case romane, il punto di partenza delle sue ricerche. Accanto alle loro testimonianze, quelle dei Padri Redentoristi, dei Fatebenefratelli, dei Salesiani, delle Sorelle di Sion e di molti laici. Il libro ne presenta decine, raccolte a Roma, a Milano, a Ferrara, a Venezia e in altre città italiane, tanto fra coloro che si adoperarono a favore dei perseguitati, ospitandoli, nascondendoli, nutrendoli, fornendo loro documenti di identità contraffatti, quanto fra ebrei scampati all’Olocausto e politici dell’opposizione, costretti alla clandestinità. Nei racconti dei primi spicca la serenità con cui fu affrontato il pericolo, nella consapevolezza di stare compiendo un dovere verso dei fratelli colpiti dalla sfortuna e mai considerati “etnicamente diversi”. Nelle testimonianze dei secondi emerge naturalmente la gratitudine.
Di fatto nel dopoguerra ci sono indubbiamente state voci discordi e accuse pesanti da parte di frange estreme, ma nel complesso la comunità ebraica ha sempre riconosciuto l’impegno dei cattolici nei suoi confronti e ha mostrato di comprendere perfettamente le ragioni della politica di “fattiva prudenza” adottata da Pio XII. Basti pensare alle parole pronunciate quando il conflitto stava per finire dal rabbino capo di Gerusalemme, Isaac Herzog: «Il popolo israeliano non dimenticherà mai quello che Sua Santità e i suoi incaricati, ispirati dai principi eterni della religione, che formano i fondamenti stessi della vera civiltà, hanno fatto per i nostri fratelli e sorelle nell’ora più sfortunata della loro storia, dando una prova vivente della divina Provvidenza in questo mondo». Su quella stessa base, cinquant’anni più tardi, Giovanni Paolo II ricordò «quanto profondamente Pio XII sentì la tragedia del popolo ebraico e con quanta intensità ed efficacia si adoperò per assisterlo».


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