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RECENSIONE
tratto dal n. 06 - 2006

La risposta al dolore: Gesù vivo e vicino


Recensione delle cinque cantiche de Il mistero del dolore di Giovanni Scarpitti


di don Giacomo Tantardini


Uno dei volumi 
de Il mistero del dolore di Giovanni Scarpitti, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2005, 
4 volumi, euro 100, 00

Uno dei volumi de Il mistero del dolore di Giovanni Scarpitti, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2005, 4 volumi, euro 100, 00

A quasi quarant’anni dalla morte di Giovanni Scarpitti (1886-1967) sono stati dati alle stampe per i tipi Piemme i 45mila versi del suo poema Il mistero del dolore. Concepite nel 1942, nel pieno della Seconda guerra mondiale, le cinque cantiche di cui si compone l’opera furono scritte da un uomo costretto, a causa di una grave malattia, su una sedia a rotelle. Proprio questa infermità e la conseguente impossibilità a fare sono l’occasione del fare poetico di Scarpitti.
Fu un uomo poliedrico, un brillante docente universitario, uno scienziato e un filosofo che, da giovane, ebbe a dichiararsi ateo. Fino al momento in cui si imbatté nelle Confessioni di sant’Agostino – lette in una notte durante un viaggio per mare – che furono per lui occasione della grazia della fede. Ma la sua vicenda umana fu segnata da un altro evento decisivo: la guarigione insperata del figlio, colpito da una meningite che lo aveva portato al coma profondo. Così il dolore e le grazie che ne costellarono la vita mossero Scarpitti alla scrittura di un’opera poetica nata sostanzialmente dal riconoscimento «del proprio nulla rispetto al Creatore», e dall’affermazione che «rimedio alle umane sofferenze» è «il rifugio nella verità e carità di Cristo». Dal riconoscimento, quindi, della propria incapacità a dare noi una risposta al dolore, e dall’affidamento grato al fare di un Altro: «La vostra superbia non vi fa pensare ad altro che alle vostre forze che non valgono nulla. Voi credete di poter fare da voi stessi qualche cosa e nulla potete senza di me». Così si legge nell’introduzione dell’autore. Una citazione letterale delle parole di Gesù: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5).
Il mistero del dolore è composto, come ho accennato, da cinque cantiche, ognuna delle quali affronta un aspetto particolare: nella prima è trattato «il dolore umano effetto del peccato»; nella seconda, la vita di Benedetto da Norcia e le sue indicazioni «circa il cammino più semplice per il raggiungimento del sommo Bene»; nella terza, la santa Famiglia di Nazareth, la cui vicenda è esempio di come sia possibile vivere sereni anche tra le avversità di questo mondo; nella quarta, la dottrina dell’apostolo Paolo circa il dolore umano; la quinta canta il rimedio all’umana sofferenza, cioè il «rifugio nella verità e carità di Cristo».
Sono due le cose che colpiscono nel Mistero del dolore. Due cose che richiamano una particolare vicinanza dell’autore con don Luigi Giussani.
La prima è l’amore di Scarpitti per Dante e Leopardi. Scrive Scarpitti: «Leopardi è un poeta che sopra ogni altro vive dell’anima e di fronte al suo mistero, non sostenuto dalla fede, dalla speranza e dalla carità, sospira come nessun altro poeta lirico ha mai sospirato». Dante è un riferimento sicuro e continuo in tutta l’opera. Le cantiche sono disseminate di echi danteschi e leopardiani, che si compenetrano spesso all’interno di una medesima strofa o di un medesimo verso. Accennando alla Madonna, «termine fisso d’eterno consiglio», scrive: «L’idea del tuo pensier dominatrice / discese in terra […] in Sua concreta forma, / ad aspettarvi il Creator del mondo / cui piacque di vestire, / nel virginal Suo grembo, / dell’uom l’aspetto, l’alma e la natura! / Così Beltà virginea, sublime / fatta pur essa umana, / calcò di questo esilio lagrimoso / il triste e amaro suolo»; «La bontà somma della Causa prima / concede a nostra mente di proporsi / di conoscere il Fine che la muove / a tanto bene, ove il pensiero annega, / se la Sua Grazia non soccorre il santo / desio, che muove il cuore ad adorarlo».
La seconda cosa che colpisce (e che manifesta ancor più chiaramente una comunanza di sentire tra Scarpitti e Giussani) è che la risposta alla realtà del dolore e della morte si trova nelle poche cose essenziali della Tradizione, come il Catechismo insegna.
In questa pagina, alcuni affreschi di Giotto nella Cappella 
degli Scrovegni a Padova; sopra,  
Gesù risorto e Maria Maddalena

In questa pagina, alcuni affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova; sopra, Gesù risorto e Maria Maddalena

Di queste poche cose essenziali, tre risaltano in modo particolare nel Mistero del dolore.
Innanzitutto il fatto che il dolore, come la morte, è conseguenza del peccato. Castigo del peccato originale e dei peccati personali. «L’uomo nell’Eden, prima del peccato / era perfetto e lieto contemplante, / intenditore del divino Verbo / col quale discorrea semplicemente: / quando decadde gli si spense il lume / e fu cieco»; «Allor che per la colpa fu dimesso / dal soggiorno felice, Adamo s’ebbe / quest’ordine prescritto dal Signore: / Con fatica trarrai dal suolo il cibo / e il pane sarà frutto del sudore»; «Cadde l’uomo sul punto, quando ruppe / il conversare col creante Amore, / per opera d’Inferno. Allora il corpo / in punizione s’ebbe la sua pena: / putredine è la morte temporale!»; «Dopo la colpa, quell’incarco lieve / di curare dell’Eden la bellezza / fu pel mortale insopportabil pena».
Secondo. La risposta al dolore e alla morte è la vita, morte e resurrezione di Gesù Cristo. «L’Agnello ai tuoi sensibili malanni / offre conforto, tal che il duolo si muta / in godimento pur tra i duri ceppi»; «Sicché da Cristo accolta e consacrata, / divenga a ognuno la fatica grata, / anzi sorgente viva di conforto»; «L’umanità di Cristo, del Suo Amore / ricopre tutto il mondo; e tutto il male / vien circoscritto all’infernal dimora, / ove invano in eterno si dibatte».
Ma la cosa che più sorprende e conforta è il ripetere da parte di Scarpitti in innumerevoli versi che Gesù Cristo è risposta al dolore in quanto, nel presente, tocca, attrae, conforta con la Sua grazia il cuore. Così Gesù Cristo è risposta reale al dolore. Se la fede non sorgesse istante per istante dall’attrattiva della Sua grazia, la risposta cristiana al dolore sarebbe affidata allo sforzo umano di imitare un esempio sempre più lontano. Se il riconoscimento che Gesù risponde al dolore non sorgesse in atto dalla Sua attrattiva presente, anche per un cristiano non ci sarebbe alternativa alla disperazione che si ribella o alla rassegnazione che tenta un’illusoria sublimazione.
La fuga in Egitto

La fuga in Egitto

«Per Sua Divina Grazia e per l’Amore, / che ne largisce, entriamo nel mistero / del grande Fine, che a crear Lo mosse»; «Ma per l’umana mente e per carnale / natura attinger dell’amor la cima, / a cui l’ha fatto degno di salire, / non è facile impresa a uman volere, / poiché senza Sua Grazia gli è negato»; «[…] il Redentore / […] a dismisura, largamente / può mettere a profitto dell’amato / l’infinita salvifica sua Grazia, / che gli assicura, nella prova, il grande / trionfo»; «Ove mancasse al misero scaduto / l’ausilio de la Grazia salvatrice / vano saria sperar di vita il dono!»; «Qual debito di Amore, a tanto Amore / può l’uomo or soddisfare? Il pentimento / pel commesso delitto è trasformato / tutto in riconoscenza al Salvatore; / e questo è della Grazia il grande effetto»; «Dio si è procurato / il modo di donar, gratuitamente, / la Grazia Sua, qual pioggia generosa / che su ubertosa e secca terra abbonda»; «[…] Cristo, / dopo l’aiuto per Sua Madre offerto, / affidandoci a Lei mentre spirava, / di largo ausilio ci soccorre e spesso / nel più impensato modo, indirizzando / la nostra volontà con la Sua Grazia»; «[…] pertanto / occorre che all’umana creatura / Iddio si volga, e a Sé la chiami e stringa, / sì ch’ella, per Divina Grazia, giunga / del suo vïaggio faticoso al porto».
Nel momento del dolore concreto o anche solo temuto è ancora più evidente che «gratia facit fidem», che cioè il riconoscimento di Gesù nasce dalla Sua gratuita attrattiva. In altre parole, se Gesù non fosse risorto e quindi non potesse farsi gratuitamente vicino e attrarre a Sé occhi e cuore, come quel mattino di Pasqua con Maria Maddalena, la Sua stessa croce non sarebbe risposta reale al dolore, non sarebbe in atto «sapienza di Dio e fortezza di Dio». Essendo risposta al nostro dolore il Suo gratuito farsi vicino, come la mamma al bambino che piange, a noi è possibile domandare che venga («vieni Gesù») «adesso», in ogni istante della vita, «e nell’ora della nostra morte», nel momento del dolore supremo. E nella gratitudine del Suo gratuito farsi vicino lasciarci abbracciare dal sommo Piacere: «Questo, di Religione è il dolce frutto: / il Rapporto con Dio per i Suoi doni: […] / quello della Forza o della Grazia / sacramentale, che ci stringe a Lui».
Ciò che Il mistero del dolore intende suggerire potrebbe essere espresso con le parole di Heinrich Schlier al termine del suo breve commento alla lettera di san Paolo ai Filippesi in cui umilmente, quasi senza volerlo, corregge per realismo della fede l’espressione di Bernanos: «Senza il Signore Gesù Cristo e senza la sua grazia non ci sarebbe, né a Filippi né altrove, nessuna comunità. “Tutto è grazia”, è la conclusione del Diario di un curato di campagna di Bernanos. “Tutto sia grazia”, è la conclusione della lettera ai Filippesi».


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